PARTHE-NO-PE (2024) - TORNANDO DAL CINEMA

 Parole a caldo sul film di Paolo Sorrentino con Celeste dalla Porta (Partenope senza hacca, spero), Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Isabella Ferrari e tanti altri


 Per risultare seducenti si deve per forza essere così? La protagonista Partenope nasce già con l'idea di essere una dea e crescendo non viene mai smentita, anzi. 
Viene osannata dai parenti ultra borghesi, dai ragazzi, da un fratello depresso e marpione. Forse troppo innamorato di lei od omosessuale. 
Soprattutto, la consapevolezza di essere bellissima e intelligentissima la rendono l'essere più fortunato sulla terra, ma anche l'essere che più inspiegabilmente insegue la tristezza senza motivo. Forse per empatia col fratello. 

La sua antipatia in realtà è forse la truffa più grande (sarebbe stato geniale sfruttare questo concetto, invece di relegarlo al solo Silvio Orlando, che antipatico davvero non è, anzi); la truffa può essere la bellezza (magari ci si arrivasse), come potrebbe esserlo il film. 

Sorrentino dice che bisogna emozionarsi, ma se un film è un reiterato sublimare dell'apparato formale, io percepisco solo gelo. Poi, si parla tanto dell'amore per le imperfezioni, ma qua sono tutti perfetti, ricchi e di plastica. Salvo un momento di povertà nel quartiere del Don Camorra di turno. Ma neanche, visti i due modelli  stile "D&G" della scena della "fusione". 
Naturalmente ci sono altre due pseudo-eccezioni: il prete e il figlio di Silvio Orlando. Vaghi sprazzi de L'amico di famiglia, la parte della poetica sorrentiniana che apprezzo di più, quando sincerità e cinismo andavano di pari passo con la composizione). Di plastica diventa anche la filosofia e perfino l'emozione. Se un film è un infinito esasperante di emozione e desiderio, il valore di questi elementi si disperde. Se li vedo al momento giusto, ecco che questi assumono un valore di colpo evidente, prorompente, devastante. 
Non basta solo il mostrare la borghesia dei sentimenti. Non è sufficiente solo lo spiattellamento melenso e melodrammatico di una bellezza effimera e seducente. Servirebbe altro. Forse è questo che distingue Partenope dagli altri? O forse è questo che la rende (e che rende la pellicola) uguale agli altri nonostante il disperato bisogno di essere migliore? 
La dignità del sentimento vero seppur fantastico, essendo cinema. Stessa cosa per i gesti. Questo, continuo a non trovare nei film del Paolo.

L'ossessiva ricerca di risposte dei personaggi di Parthenope e il loro soffrire per non trovarne (o per trovare quelle non volute), è un problema giustamente da affrontare. Per tutti noi e per il cinema. Solo che qui sospetto si tratti dell'ennesima discordanza tra l'intenzione e l'azione. Tra l'indagare e il divagare: indagare anche, svagandosi, ma non il divagare inteso come perdere tempo. Proprio perché il tempo non ce lo ridà nessuno. 

Perfino l'ironia tipica dello stare attorno ad un tavolo, con l'incontro-scontro tra personaggi diversi, sembra aver perso la sua grande forza (filmica, satirica e sociale). La poesia de La Terrazza di Scola non era stata superata da La grande bellezza, era stata rivisitata simpaticamente in È stata la mano di Dio, non è neanche paragonabile qui.

Un esempio? La scena della laurea, è tutta una contraddizione formale, una tristezza insensata dopo l'annuncio del voto, una contentezza inaspettata dopo il dialogo con il professore, un pianto finale sensato visto il bivio già superato dalla protagonista, che però recita sopra le righe questo momento. Si è la protagonista che recita, più che l'attrice, viene da pensare.

Sarà sicuramente un mio limite.

Tornando alle uniche due figure meno "belle" (non conto Luisa Ranieri e neanche Isabella Ferrari, che sono fin troppo belle anche imbruttite e poco credibili come vittime), il prete truffatore e molesto è una sorta di divagazione e un tentativo di dimostrare il concetto felliniano di sesso come istinto e legame anziché come questione estetica. Ma è talmente contraddittorio nella messa in scena, che si squaglia tutto. Per quanto riguarda il figlio del prof Marotta (Silvio Orlando), il suo aspetto e la sua "pelle" d'acqua, insieme a una battuta sull'iniziare a "vedere", non bastano a salvare 2h20 di contenuto diametralmente opposto.


di Giovanni Piretti


PS:


"Sono diventata adulta"

No [ci hai ammorbato dall'inizio alla fine].

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