MEGALOPOLIS (2024) - TORNANDO DAL CINEMA
Solita rubrica di pensiero critico ma a ruota libera post sala:
un potente contendente del sindaco di Nuova Roma è uno scienziato vedovo che ha appena inventato un composto metallico in grado di rivitalizzare la civiltà. Tra lotte di potere, diverse visioni e storie d'amore, la congiura è dietro l'angolo. Ma del futuro cosa sappiamo? E del presente, ricco di decadenza e tensioni?
Il film vuole porre delle domande. Quando mai, direte.
E rievocare qualcosa di profondamente umano e anche di incredibilmente fuori dal controllo dell'uomo. La conversazione, Apocalypse Now, vi dicono niente?
Tempo, scienza, amore, unione, guerra, lotta, potere, denaro. Tutto molto interessante e psichedelico. Una marea di raccordi sono sbagliati o discutibili e il punto di vista è sempre molto difficile da rintracciare. Di conseguenza anche l'organicità della narrazione. Ora. Questo per me è voluto e consapevole, ma non per questo è il massimo dell'efficacia. Il film vuole chiaramente porre delle domande e agire (Francis Ford Coppola per mezzo di esso) per fare qualcosa per l'umanità attraverso l'arte. Questo qualcosa è proprio porre le domande e non dare le risposte. Le mancanze evidenti sull'effettiva situazione a livello sociale e popolare (tranne pochissimi scorci di generiche rappresaglie) dell'America e del mondo, compensate con le metafore, il teatro, la Roma antica e la visione, non ci permettono di godere a pieno di cosa questa Visione effettivamente sia.
È più una allucinazione. Ricordiamo: conta fare le domande giuste, non dare le risposte. Il dubbio è se sia riuscito a fare anche, soltanto, questo. Sicuramente ci riesce in quanto a stupore e discussione. Altra intenzione sempre dichiarata per mezzo del personaggio (alter ego del regista?) di Adam Driver.
Si vuole far discutere. Shia Labeouf è l'anima del rampollo ribelle e viziato, Pulcro. Jon Voight, Cassio III è il banchiere, l'apparente nababbo troppo fissato con le donne e poco centrato sul potere; la sua abilità nell'ascoltare e restare in silenzio e il suo fare moderatamente eccentrico (pare un controsenso ma non lo è), gli consentono di rendersi protagonista. Poi c'è Dustin Hoffman che secondo me avrebbe avuto più spazio, sospetto che lo vedremo in una ulteriore versione estesa (per me director's cut, si parlava di tre ore ridotte per partecipare a Cannes). Giancarlo Esposito è il politico per eccellenza, Cicerone, sindaco corrotto ma non più di altri e coi piedi per terra. Infine c'è Cesare Catilina, Adam, il Da Vinci-Stark più egoista e altruista che ci sia. Questo film è un continuo ossimoro. Tre personaggi femminili si contendono il ruolo di motore della narrazione e della felicità di questi avidi avversari. Sono loro, queste donne, l'aspetto intrigante e interessante del film, perciò preferisco non dire altro.
Ma si discute realmente di ciò di cui parla la pellicola, o si discute(rà) più del film e della sua unica, artigianale imperfezione?
Perché davvero forse vediamo troppo poco della "questione sociale" e dell'incontro con il "popolo", con la civiltà che cade, di quella che arriva.
Basterà un insieme di metafore storiografiche distorte a rendere giustizia all'idea? Basterà il discorso finale di Adam Driver e questa immagine di contrapposizione retorica e minimale tra Megalopolis e New York per intuire il futuro? Sarà stato mai davvero questo il senso del film?
Se non altro, mi è venuta voglia di rivedere Cosmopolis e Crimes of the future di Cronenberg. Due film che per me sono meno "esperienza", ma più "forza", su questi temi.
PS: è un po' l'altra faccia della medaglia (come approccio artistico) di Civil War di Garland, più freddo, cinico, "neo-realista" sul destino degli USA. Anche qui, Megalopolis ha un messaggio: l'utopia, se discussa troppo e messa in atto, diventa impossibile, diventa "solo" distopia. Chissà tra dieci anni...
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