TORNANDO DAL CINEMA: LA CHIMERA

La Chimera - 2023


Molti si sono riferiti a La chimera di Alice Rorwacher definendolo "cinema libero". Il freddo e la voglia di non screditare questo bel film mi impediscono di parlarne molto, nonostante siano opinioni "a caldo".

Se intendiamo che siamo di fronte a un cinema libero da stilemi, linguaggi pregressi e altro, certo non è questo il caso. Sarebbe impossibile per chiunque, ma diciamo che appare molto evidente, almeno per me, il citazionismo credo per la maggior parte voluto ma non ostentato. Il film ha a più riprese uno stampo puramente felliniano e per il resto tarkovskijiano. Non lo trovo in questo estremamente originale, ma sicuramente più forte e concreto visivamente di Lazzaro Felice (che già era notevole). Poi meglio ispirarsi al massimo possibile. Tornano i temi che, guarda caso, sono principi nei registi già citati: il sacro e il profano, la sensibilità umana di una figura spiritualmente "al di là" dell'umano; il senso dell'arte e della sua mercificazione, esteso poi alla vita in generale e all'uso che se ne fa. Il legame tra persone profondamente influenzato dagli interessi materiali. Icone, simboli, emblemi. Il riflesso de Lo specchio, la natura, il sotto e il profondo, il sopra e il miracolo de La Dolce Vita. L'uovo e il bianco. Bianco anche del vestito del protagonista, che sembra appena uscito dal finale proprio de La Dolce Vita. 


Arthur torna nel paese dove vive in seguito alla prigione. È un ladro, un profanatore di tombe, da cui recupera oggetti che rivende a Spartaco, figura indefinita. Ma la perdita della sua amata, che la madre di lei ignora volutamente, ha un peso, un lascito, troppo profondo.


Inutile soffermarmi solo sull'importanza del sottotesto legato al crimine del furto e all'impostazione della società evidentemente decadente, o al tema della manipolazione di emarginati, tutto quanto figlio cinematograficamente anche de L'imbalsamatore di Garrone o dei lavori di Claudio Caligari.

Momenti di folklore, apparizioni e nuovi incontri, tra sacro e profano, sembrano ribaltare riprendendo passo passo, tutta la poetica felliniana e tarkovskjiana (a ritroso anche bergmaniana etc), riuscendo a fare una cosa in particolare: ricreare immagini profondamente evocative, dal cinema delle origini a La città delle donne fino a Chaplin e Stalker. Ho trovato davvero questa la cosa più riuscita per un film riuscito, non commerciale e anche diretto quando serve. In questo è sicuramente libero. Meno puerile e quasi speculare a Lazzaro Felice. Ci sono dei momenti che arriva ad essere un po' sospeso, leggermente artificioso, ma in una maniera comunque amorevole, se si può usare questo termine. Il tempo assume tutto un altro significato e già il termine "sospeso" non è più adatto. È un film appunto evocativo, libero nel volerlo essere, rielaborando immagini che tutti gli amanti di un certo cinema hanno già un po' in testa. E il messaggio è chiaro, ed è nel gesto radicale di Arthur dopo aver parlato con Spartaco: l'arte, che è vita, che è società, non è più al centro. La vita, che è arte, che è società, non è più al centro. La società, che è vita e arte, è allo sbando. La famosa crisi dei valori. Decisamente poetica qui. C'è speranza e sconforto, grande auto-riflessione e voglia di riscoperta, più che solo superficiale scoperta.


Mettere in discussione senza essere pesanti, retorici (tranne in un paio di momenti "musicali") e con bellezza non era facile. Andate al cinema.

Stiamo imparando con gli eventi di oggi e i film di oggi a dover ammettere di doverci rimettere in discussione. È un passo. Questo film aiuta a farlo e a farne altri, ma anche a vivere questa cosa con la giusta armonia, se così si può dire. Non necessariamente felicità o tristezza.



Di Giovanni Piretti


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