TORNANDO DAL CINEMA - IO CAPITANO (2023)

TORNANDO DAL CINEMA

Raccolgo opinioni appuntate a caldo dopo la sala

 





 

IO CAPITANO (2023):

 

Matteo Garrone è il regista italiano che ha più compreso il valore della settima arte, passando da 

quello artistico a quello sociale, da quello linguistico naturale a quello potenziale e mediatico.

Riguardando di recente un film di Ridley Scott su un Odisseo contemporaneo, ho ritrovato lo spirito 

di avventura, di spazi infiniti, di scoperta e consapevolezza istintive dell'essere umano; quante le 

volte che ci si deve soffermare, che si deve cambiare strada o direzione, spesso tornando al punto di 

partenza? Non è forse questa l'essenza delle storie?

Era The Martian. E se fosse stato un film di Spielberg? O un film di Garrone?

 

 Seydou è un adolescente senegalese che, con il suo migliore amico Moussa, decide di partire per 

l'Italia in cerca di fortuna. Non è in fuga dalla guerra, né in una condizione di esasperata povertà, 

ma sente quella necessità di partire. E le cose che deve affrontare, nonostante sia "nella migliore 

delle ipotesi" per quelli che vengono dal suo continente e che si trovano a dover passare per le sue 

stesse tappe (Libia, Marocco, Malta, Sicilia...), sono decisamente terribili e poco augurabili.

Siamo continuamente in bilico, come il protagonista, all’interno di una storia che conosciamo e 

fingiamo di non conoscere. Non ha a che fare soltanto con il patto narrativo ma con una sospensione 

più profonda, più morale e sociale. Il linguaggio sincretico per eccellenza, che ci porta attraverso 

una trama estremamente lineare, la cui tensione deriva dal significato della vita umana, del viaggio 

in sé, e dall’evocazione magica di questi elementi. Un’altra caratteristica tipica dei film di Garrone 

come Reality, Dogman o Il racconto dei racconti che, con generi diversi, ci sospendono e allo stesso 

tempo ci rivelano ciò che siamo e ciò che non osiamo guardare.

 

Io capitano è crudo realismo da documentarista e un punto di vista molto forte, strettamente legato 

ad un personaggio e intrecciato con il genere puro, con lo spirito più infantile, ridicolo, emotivo, 

divertente, innocente e incurante del cinema; quindi, dell'avventura, della vita per estensione. 

Come due ragazzini che si rassicurano a vicenda quando uno (Seydou) non vuole partire per non 

deludere sua madre o l’altro (Moussa), di fronte ad una infezione grave e alla solitudine, vede tutto 

crollare. Almeno finché il suo amico non gli ricorda che il loro sogno di cantare in Italia e finire sui 

social che spiavano insieme, è ancora possibile.

Lo stare insieme è una speranza fondamentale: la solidarietà e l’empatia che si crea tra persone nella 

stessa condizione, nel deserto, o sulla “stessa barca”. La figura paterna, l’aiutante che Seydou 

incontra, rappresenta la speranza che la coscienza, di tutti, ci porti a pensare che siamo umani, tutti.

E che questo ci accomuna.

Infine: i colori, la fatica necessaria per sopravvivere, la fisicità dello sforzo e le battute per 

esorcizzare la morte fanno di Io capitano un film genuino e poetico.

 

di Giovanni Piretti

 

 


 


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