TORNANDO DAL CINEMA - ASSASSINIO A VENEZIA (2023)

 TORNANDO DAL CINEMA

Raccolgo opinioni appuntate a caldo dopo la sala



ASSASSINIO A VENEZIA (2023):

Entrato in sala ero veramente scettico. Il primo capitolo della saga era stato carino, soprattutto grazie al cast strepitoso (e anche un po' strozzato nel film da tempi serrati e ruoli piuttosto stretti e determinati), nonostante la trama sia ormai conosciuta anche dai muri. Andare con amiche a vedere questo film però era già più divertente e così...

Anche il secondo capitolo era guardabile, ma molto più didascalico e prolisso del primo, con tentativi di stravolgimento degli animi attraverso una regia un po' troppo esasperata e movimentata. I fan di David Suchet mi hanno anche ricordato che Poirot è un maniaco del controllo, con disturbi ossessivi, una passione smodata per i dolci e una discreta pigrizia fisica, oltre che una forte credenza nella superiorità della mente sul corpo e sulla dinamicità degli istinti. Nel primo capitolo ci viene detto tutto questo e ci crediamo fino a che non vediamo un inseguimento un po' troppo avvincente. Tutto sommato, è nel secondo capitolo che c'è meno coerenza tra i reminder della scrittura di questi elementi e la loro resa visiva effettiva. Comunque, tutte qualità che Kenneth Branagh riesce a raccogliere su di sé solo grazie alla sua incredibile espressività e al suo talento di attore teatrale, ma che vanno in contrasto con le sue aspirazioni produttive e registiche, forse a causa della presunzione di essere blockbuster a tutti gli effetti che il franchise nel 2023 "impone". C'è anche Ridley Scott come produttore, non lo avevo notato.

In questa nuova avventura, tratta da La strage degli innocenti, sempre ovviamente di Agatha Christie, notiamo il ritorno di quegli stessi elementi con un po' di credibilità in più. Se non altro, per la costrizione data dall'ambiente e da un fatto di cui non parlerò che mette a dura prova la mente, lo spirito e anche il fisico del nostro Hercule.

In generale, tanti i dubbi: Halloween a Venezia negli anni '40, città delle maschere ma non credo molto globalizzata ancora; uno Scamarcio che si doppia da solo, anche se poteva andare peggio; il cast decisamente meno brillante, con Tina Fey nei panni della nota scrittrice Ariadne Oliver (altro personaggio storico) un po' troppo monoespressiva e con un ghigno fastidioso, solo in parte motivato; un paio di personaggi dal carattere piuttosto esasperato di cui si nota letteralmente la mano dello sceneggiatore che ne forza gli animi solo per creare un po' di tensione; un finale non eccessivamente avvincente e raggiunto con un pelo di fretta (anche se, nella prima affermazione, non si può dire che non sia in pieno stile Agatha Christie; un Kenneth Branagh altalenante nella regia, sicuramente più a suo agio nella circoscrizione noir-horror-di un ambiente unico e quasi shakespeariano, ma meno lucido quando cerca di strafare pilotando o facendosi pilotare dall'esuberanza del dop (non lo saprempo mai).

Tuttavia, come direbbe il nostro Michal Gambon nei panni di Silente, va premiata la semplicità e l'efficacia della combinazione horror-noir che credevo ben peggiore. Tutti hanno avuto da ridire sull'elemento surreale in contrasto con il razionalismo estremo di Poirot: ebbene, è forse la cosa più interessante del film. Non per il finale, appunto. Anche quello poteva essere comunque peggiore, invece è coerente il giusto (soprattutto con la fase della vita del nostro detective che lo rende più profondo e non un solo strumento di deduzione, lo rende umano); la cosa interessante è come si combina la paura, che non è semplice paura ma un insieme di angosce e traumi, con il crudo realismo e il trauma stesso di un omicidio terribile. 

Il modo in cui si trasmette tutto ciò, partendo da una scena di meta-cinema-teatro delle ombre, ci dà volutamente il senso dell'onirico e del teatro come qualcosa di previsto in quel patto di non-credulità che uno spettatore fa con un film o che un insieme di esseri umani fa con il soprannaturale. In parte disposti a credere, ma con riserve. A farsi suggestionare, ma avendo presente la possibilità che si tratti di questo soltanto. Qualcosa che riguarda l'uomo da sempre in tutto ciò che fa, non solo in senso più ampio nei concetti di spirituale e religioso. Ma anche nella quotidianità, con la superstizione più piccola o l'incredulità di fronte a cose della vita che si vogliono evitare. 

Il giallo tutto sommato va bene.

Certo, c'è un momento in cui una azione molto breve viene "seminata" in maniera troppo evidente. E per il resto, come ogni buon giallo che sei rispetti, soprattutto di Agatha Christie, la verità è sotto gli occhi. E bisogna saperla leggere, senza escludere ipotesi in virtù di inferenze fatte da frame e da nostre esperienze che approssimano la realtà. In questo, Poirot è sempre il migliore. Forse...


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di Giovanni Piretti




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